O-kyo in giapponese significa: sutra (scritto col carattere che in cinese si legge: jing) e indica le raccolte di Sutra, Dharani e Gatha in uso nei monasteri Zen affinché una recita quotidiana rinforzi ed incoraggi i praticanti, rammenti loro la tradizione millenaria e la presenza viva di tutti coloro che nei secoli hanno realizzato la Via.
Sutra (sanscrito) sono i testi della tradizione Mahayana e del Buddhismo delle origini attribuiti a Buddha Sakyamuni.
Dharani (sostantivo femminile sanscrito), derivato dall’aggettivo dharana nel significato di ciò “che sostiene”, “che porta”, “che mantiene il ricordo”, “che preserva”, “che protegge“. Indica, nel Buddhismo, dei brevi testi contenenti delle formule con un contenuto simbolico, simili ai mantra, che vengono recitate per ottenere benefici. La loro presenza è attestata in Cina fin dal III secolo e consistono in lunghe sequenze di sillabe dal significato spesso poco comprensibile probabilmente derivate da un sanscrito ibrido.
Gatha (sanscrito) al maschile: verso, strofa, stanza, poesia; al femminile: inno, canto. È una composizione in versi frequente nei sutra.
Nella scuola Zen Rinzai di Scaramuccia si recitano i quattro voti dell’assoluto; gli otto voti del sociale, il Sutra del Cuore.
Un altro testo è un discorso di Daito Kokushi (1282–1337) un maestro giapponese secondo patriarca del lignaggio Otokan dello Zen Rinzai, secondo la leggenda trascorse vent’anni sotto il ponte Gojo di Kyoto insieme ai mendicanti. L’imperatore Honazono un giorno decise di cercarlo e andò al ponte con un cesto di meloni e disse ai presenti: “Prendi questi meloni senza usare le mani”. Uno di essi rispose: “Dallo tu a me senza usare le tue mani”. Così l’imperatore riconobbe il maestro. Successivamente Daito Kokushi risiedette da eremita in due piccoli templi a Kyoto, l’Ungo-ji e poi il Daitoku-ji dove visse nell’essenzialità sino alla morte. Egli rivestì un ruolo essenziale nella trasmissione dello Zen dalla Cina al Giappone e lasciò molte famose poesie in giapponese e cinese, commentari e opere di calligrafia.
Altre recitazioni dello Zen riguardano Avalokitesvara, uno dei grandi bodhisattva, simbolo della compassione. La sua figura compare all’inizio della corrente Mahayaya e sarà la più popolare. Nel I secolo d.C. dall’India passa in Cina dove è chiamato con diversi nomi; il più usato è Guanyin che poi in Giappone diventa Kannon o Kanzeon, rappresentato in molte differenti forme maschili e femminili.
Recitato in tutte le scuole Zen è un brano tratto da un sutra. Per il testo originale e i commenti; scarica il testo con traduzione e note: ENMEI_JIKKU_KANNON,pdf
Un’altra recitazione è un testo in poesia tratto dal capitolo 25 del Sutra del Loto (canone cinese T 262), intitolato: “Versi della porta universale – Fumon bonge”. Scarica il pdf con la traduzione italiana di Nicola Bianco e la traslitterazione del giapponese secondo la scuola Zen Rinzai di Scaramuccia: FUMONBONGE.pdf
Un altro brano che viene recitato nelle scuole Zen è la “Dharani al Grande misericordioso”, nota anche con la frase iniziale: Namu karatanno (Omaggio ai Tre Gioielli). Scarica la traduzione italiana di Nicola Bianco: NAMUKARATANNO.pdf